Il silenzio del cimitero monumentale di Fortogna e del coronamento della diga del Vajont. Le parole e i ricordi dei testimoni della strage del 1963, ancora così vividi e forti alla vigilia del sessantesimo anniversario. È stata un avvio di anno associativo davvero particolare, quello vissuto il 16 settembre da una cinquantina di dirigenti e soci delle Acli veneziane e dei Circoli del territorio. Una giornata sul filo della memoria, per riflettere sulla responsabilità personale e collettiva per la salvaguardia bene comune. E per rilanciare il nostro impegno per la comunità, come singoli e come associazione.
“Questa esperienza – sottolinea il presidente delle Acli veneziane Paolo Grigolato – ha voluto porsi in continuità anche con il percorso per operatori del sociale che abbiamo vissuto tra gennaio ed aprile. Sei incontri e un centinaio di partecipanti a riflettere sull’importanza di saper fare memoria, ma anche di essere fedeli al futuro. Al Vajont abbiamo continuato a muoverci su questa linea: fare memoria del dramma di sessant’anni fa, per impegnarci ad essere artefici di un domani migliore per tutti”.
La giornata si è aperta con un momento di raccoglimento al cimitero di Fortogna, che ospita le tombe di 1.464 delle 1.910 vittime della strage. Poi la visita guidata alla diga, davanti all’enormità della frana che la sera del 9 ottobre 1963 originò l’enorme ondata che spazzò via vite umane e paesi. Infine il passaggio alla sede Enaip di Longarone, che unisce simbolicamente la nostra associazione alla tragedia del Vajont: l’istituto venne infatti costruito dopo la strage, grazie ad un’apposita raccolta fondi lanciata dal Corriere della Sera.
Qui, dopo il pranzo preparato e servito dagli studenti del corso di Ristorazione, la parte forse più significativa ed emozionante della giornata, ovvero l’incontro con Giuseppe Vazza e Gioacchino Bratta. Due testimoni diretti degli eventi del 1963, quando avevano rispettivamente 30 e 25 anni e videro in pochi minuti la scomparsa del loro paese e di parte delle loro famiglie. Nelle loro parole non solo il racconto di quella terribile notte, ma anche e soprattutto gli anni della difficile ricostruzione, fisica e comunitaria, a cui Gioacchino e Giuseppe hanno contributo direttamente impegnandosi come amministratori pubblici. Una storia forse meno raccontata e conosciuta, ma che rappresenta un ulteriore monito e stimolo alla cura del bene comune.