Un Primo Maggio finalmente di nuovo in piazza. Per celebrare il lavoro e San Giuseppe Lavoratore. E rilanciare l’impegno per più equità e dignità. È stata una Festa del Lavoro ricca di significati quella vissuta a Martellago con il Vescovo di Treviso mons. Michele Tomasi. I tradizionali festeggiamenti, con la santa messa in piazza e la benedizione dei mezzi del lavoro, si sono inseriti in una più ampia iniziativa promossa dall’Ufficio diocesano per la Pastorale Sociale e del Lavoro e dalle Acli di Venezia e Treviso, in collaborazione con il Circolo Acli Martellago e l’associazione Famiglia 2000. Dopo la celebrazione eucaristica, si è infatti svolto l’incontro “Famiglia e lavoro: un’alleanza possibile”, momento di avvio di un laboratorio per tracciare una rotta concreta verso l’idea di una “famiglia sana in azienda sana”, come rilanciato da don Paolo Magoga, direttore dell’Ufficio di Pastorale Sociale e del Lavoro.
Ad intervenire Valentina Cremona, imprenditrice e componente della Commissione regionale per le pari opportunità, e Nicola Panarella, segretario FIM Cisl Veneto, che anche partendo dalla loro esperienza di genitori hanno fornito degli spunti per provare a sciogliere alcuni nodi problematici.
Punto di avvio il tema dell’occupazione femminile, uscita con le ossa se possibile ancor più rotte dalla pandemia. Cremona ha indicato tre nodi fondamentali. Il primo è culturale. “In Veneto se lavora solo il marito, la donna sostiene il 76% del lavoro di casa ampiamente inteso. Se lavorano entrambi, il carico “scende” al 68%. La famiglia deve essere una responsabilità condivisa”. Poi ci sono la questione finanziaria, con la disparità salariale uomini-donne, e il tema dei servizi, per i quali non è questione solo di quantità, ma anche di qualità, perché “l’organizzazione delle aperture deve essere armonizzata con gli orari di lavoro”. “Ogni donna ha diritto a formarsi sulla base delle proprie aspirazioni e scegliere come mettere le proprie competenze a servizio della comunità”. Non è un tema solo etico, “ma anche economico: più donne al lavoro significa più Pil, più domanda di servizi e, in ultima analisi, più posti di lavoro”.
“La conciliazione tempi di vita-tempi di lavoro – ha sottolineato Panarella – è una questione ultradecennale, ma la risoluzione dipende solo dalla volontà degli attori in campo. Abbiamo modelli di riferimento, non solo dai paesi del nord Europa, ma anche nella storia industriale del nostro paese, con gli esempi virtuosi di aziende come Olivetti o Zanussi capaci di “stare” nel territorio, di compiere un lavoro anche sociale. E avremmo anche i fondi, a partire dai tanti finanziamenti europei che restano inutilizzati”. Dove è allora il problema? “Nella mancanza di volontà di risolvere i problemi, che, lo dico da sindacalista, spesso riguarda anche i lavoratori. Troppe volte, nelle contrattazioni, si punta tutto sulla parte retributiva, rifiutando accordi sul welfare familiare. Chi non ha famiglia rifiuta di entrare su questioni che non lo riguardano direttamente”. Una mancanza di lungimiranza che spesso riguarda anche la parte datoriale, come dimostra la questione smartworking: c’è voluta la pandemia per “scoprire” questa pratica, per tanto tempo vista solo un rischio per la produttività del lavoratore.
Monsignor Tomasi ha concluso riprendendo le tre parole chiave dell’omelia: primato del lavoro, accoglienza della vita e condivisione delle scelte. “Anche in questo ambito conta la concretezza, perché da credenti dobbiamo vivere pienamente la responsabilità del nostro tempo. Sono questioni legate al senso profondo della vita: la retribuzione è importante ma da sola non basta, perché non esiste felicità da soli. Occorre la solidarietà, declinazione sociale di quell’amore che sostiene tutto”.